Sono trascorsi 17 anni da quando è stata promulgata la L. 92 del 30 marzo 2004 istitutiva del Giorno del Ricordo, una ricorrenza che ha saputo conquistarsi visibilità e credibilità grazie all’operato delle associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati, le quali considerarono da subito quella Legge non tanto un traguardo raggiunto quanto un punto di partenza. Come ha evidenziato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione del Giorno del Ricordo 2021, a tali sigle associative va riconosciuto il merito di aver conservato per oltre mezzo secolo la memoria delle tragedie che colpirono l’italianità dell’Adriatico orientale nella fase finale della Seconda guerra mondiale e con particolare virulenza addirittura una volta cessate le ostilità, fino a giungere all’esodo del 90% della comunità italiana autoctona. L’attentato dinamitardo di Vergarolla del 18 agosto 1946 è l’esempio più tragico del protrarsi di questi crimini a guerra finita e rappresenta la strage più sanguinosa nella storia dell’Italia repubblicana, essendo avvenuta nei pressi di Pola che, fino alla firma del Trattato di Pace del 10 febbraio 1947, era a tutti gli effetti territorio italiano benché sotto amministrazione militare angloamericana.
Come purtroppo la legge non fu approvata all’unanimità dal Parlamento italiano, ancor oggi c’è chi sminuisce, giustifica, nega o decontestualizza le stragi nelle foibe, gli annegamenti nell’Adriatico, le deportazioni verso terrificanti campi di concentramento ed il clima di terrore messi in atto in Venezia Giulia, Carnaro e Dalmazia dalle forze partigiane jugoslave, dalla polizia segreta organizzata da Tito e nota come Ozna, dai comunisti italiani che anteponevano la fede ideologica all’appartenenza nazionale e dagli apparati della nascente dittatura nazionalcomunista jugoslava. Appare perciò prioritario confutare con un sereno lavoro di ricerca costoro e portare a compimento le richieste degli esuli e dei loro discendenti ancora inevase, dalla Medaglia d’Oro al gonfalone di Zara all’indennizzo dei beni abbandonati o confiscati dal regime titoista (e con cui l’Italia pagò i danni di una guerra persa da tutti) passando per l’identificazione e la decorosa sistemazione di foibe, fosse comuni e luoghi di sepoltura attualmente in territorio sloveno e croato.
Ricordare questi lutti e le sofferenze dell’Esodo giuliano-dalmata, dal dolore dello sradicamento alle difficoltà del reinserimento (per tantissimi addirittura in altri continenti) passando attraverso le privazioni dei Centri Raccolta Profughi; partire da questa catastrofe per andare a ritroso alla scoperta del patrimonio letterario, artistico e culturale che gli italiani dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia hanno elaborato nei secoli precedenti; cogliere le opportunità che la cornice europea offre per la salvaguardia del patrimonio materiale ed immateriale dell’italianità adriatica, prendendo consapevolezza che oltre l’Adriatico c’è ancora una comunità italiana che testimonia un illustre passato. Partendo da questi punti di riferimento prosegue durante tutto l’anno il lavoro culturale delle associazioni della diaspora adriatica finalizzato a non confinare alle ritualità della data del 10 febbraio la conoscenza di una pagina di storia che appartiene a tutta la comunità nazionale.
Lorenzo Salimbeni
Responsabile comunicazione Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia
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